venerdì 13 febbraio 2015

Pandora

"Sarai felice, mi disse la vita, ma prima ti renderò forte!"


E così fui soprannominata "Pandora". Mi chiamavano così, amici e parenti.Forse per il mio aspetto paciocco, forse per i miei colori, non lo so. Fatto sta che , oltre al mio nome particolare e desueto (Alfreda: consigliera degli elfi o elfo consigliere), anche il mio appellativo è stato "premonitore".
Pandora, figurazione della terra che tutto dona, cui Zeus consegnò un orcio contenente tutti i mali che, ovviamente, vinta dalla curiosità di aprirlo, sparse poi per tutto il mondo.
Ecco, è cominciato da lì il grande senso di responsabilità che mi ha accompagnata sin qui, alla soglia del mio .....esimo compleanno.
"Te sei nata vecchia!" mi diceva mio padre. Riferendosi certo alla mia maturità precoce piuttosto che  al mio spirito.
Già, ma che genere di persona sono stata? E come sono diventata in questi anni? Io, chi sono?
Lungi da me l'idea di far bilanci ché ancora è presto, Voglio provare a tracciare un profilo di me stessa prima che qualcun altro ci provi " in ricordo di.."  Tieh! Mi descrivo da sola, grazie.
Sono stata una bambina buona, rispettosa, senza pretese, cresciuta sana, all'aria aperta e molto silenziosa. Proprio presa e buttata lì come un coriandolo. Ascoltavo e pensavo, pensavo piano per non dare fastidio a nessuno.
Poi da adolescente son diventata irrequieta, come vento instabile che scompiglia il mare. Ho inseguito utopie, speranze da ragazza semplice, sognatrice. Sempre in fermento. Ed   ero carina, non lo nego. Non vistosa, non appariscente, ma con qualcosa che accalappiava, attirava l'attenzione, anche se poco consapevole e, purtroppo, difficilmente addomesticabile.
Alle volte penso che dovrei chiedere scusa a me stessa per aver creduto di non essere mai abbastanza.
Poi ho aperto il vaso....e mi è capitato di tutto e di più.
Sono passata attraverso tante dure prove e ne sono uscita, ammaccata ma intera. Per carità, mica penso di essere migliore di altri o più sfortunata. Lo dico solo perché ritengo, presuntuosamente, di avere tante cose da dire e l'ambizione di essere in grado di saper raccontare una storia, quella che mi ha portata ad essere come sono.
Dell'infanzia mi trascino dietro la paura del buio (ancora dormo con un piccolo lume acceso) e quella che comunemente si definisce "gelosia" o "possessività", ma che io chiamo, più esplicativamente :"sindrome dell'abbandono". Perché succede sempre, ogni volta che mi affeziono a qualcuno. Mi assale la paura di perderli, amicizie, amori.La paura che si preferisca qualcun altro a me. Allo stesso modo come, da piccola, soffrivo ogni volta che temevo di perdere l'amore o l'attenzione esclusiva di mio padre.
Cosa ci posso fare, ora ci ragiono, o almeno ci provo, ma una morsa allo stomaco quando "credo" di essere messa da parte ancora mi assale.
D'altronde la mia fervida immaginazione ha ricamato parecchia della mia vita,  e, seppure ho capito, imparato che non si possono vivere le fantasie, è anche vero che la fantasia aiuta a vivere. E quando ci sono dentro, lascio fuori la vita senza poesia.
Forse per questo sono felice con poco.  Vivo di emozioni e nessuno può mettere un cancello alla mia libertà mentale.
Oddio, detta così sembro una folle priva di senno, ma in effetti nella realtà del mondo ho rischiato di annegare , e più di una volta.
Il fatto è che quelle come me si rimproverano sempre di non fare mai abbastanza e stringono i pugni per non farsi vedere a piangere.
Quelle come me hanno bisogno di abbandonarsi agli abbracci, di fidarsi, e arrossiscono quando ricevono un gesto gentile o un complimento.
Quelle come me raccolgono con pazienza i cocci di un vaso rotto, e con pazienza lo rimettono insieme pur rischiando di ferirsi.
Quelle come me non amano le sfilacciature ma preferiscono i tagli netti, le porte sbattute sulla parola fine. Eppure sono capaci di tornare indietro a riprendersi un amico rimettendo in gioco tutto, pur di ritrovare un sorriso.
Quelle come me ti guardano dritto negli occhi e ti scrutano fino ad arrivarti al centro dell'anima dove i cuori si toccano. E non ne escono più.
Amo l'istinto più della logica perché ho capito che nulla è più reale di una sconfinata sensazione. Amo i gesti spontanei ed ho imparato a selezionare.. So chi voglio accanto e la solitudine non mi spaventa più, perché l'esperienza mi ha fatto capire che essa non dipende dalla presenza o assenza di qualcuno ma anzi, le persone a volte occupano i tuoi spazi e te li rubano, senza offrirti in cambio una vera compagnia. Allora preferisco ballare sola al centro del mio mondo, piuttosto che nell'angolo della vita di qualcuno.
Ho imparato che non si può esigere l'amore  e che non si possono evitare dolori, ansie, tristezze, delusioni e notti insonni costruendo dighe intorno a noi. Dobbiamo semplicemente lasciare che la vita ci corra incontro, scorra verso di noi e ci avvolga, ne più ne meno di come vivono i fiori, le piante, senza costringerla, mortificarla, spegnerla o cercare di imbrigliarla. Dobbiamo smettere di recitare una parte.
Si rischia, certo.ma si vive. Di errori ne ho fatti parecchi, ma mai cattive azioni, non ne sono capace, anche se non dimentico i torti subiti. Ma non aspiro alla vendetta né porto rancori . E questo mi da forza. La forza di andare avanti ancora e, spero, ancora. E sapete che vi dico? Mi piacciono le  persone come  me e sono sicura che un domani, alla fine del viaggio, Lui senz'altro perdonerà i miei errori e mi darà l'assoluzione. Se non altro, per insufficienza di prove.