domenica 9 dicembre 2012

La Bottega del mi' nonno

" Dai, salta su, vieni con tu pà"
"Ma dove si va pappà? "
"Si va in Darsena a bottega, dove vuoi andà.." ed io salivo sull'"orsetto", il motorino di mio padre, senza farmelo dire due volte chè con lui i "ma" e i "se" non esistevano. Quando chiedeva una cosa dovevi farla non subito, ma prima. E poi ci andavo proprio volentieri, perché la "bottega", come lui la chiamava, era la vecchia veleria di mio nonno, il posto più magico che io possa ricordare.
Si può dire che la storia di Viareggio e della sua marineria abbia sempre ruotato attorno a quel laboratorio, perché da lì usciva gran parte di quella che era la produzione velica dell' Italia d'allora, ed io ne sono fiera.Cordai, funai ,maestri d'ascia e calafati e poi c'eravamo noi a far la storia della città : i Puosi, maestri velai.
Recentemente il mio amico Claudio, un poliziotto in pensione con la passione della ricerca sulle nostre origini, ha scoperto che i miei precursori discendono da una stirpe tedesca che stabilitasi nella Garfagnana di secoli fa, ha quivi edificato un paese di nome "Puosi" per l'appunto,dalla cui popolazione poi noi discendiamo.
Ora, per i tedeschi mi può anche star bene (in fondo siamo quasi tutti alti, biondi e con gli occhi azzurri), ma lucchesi poi no. E delafia!! Questo spero proprio sia un errore.
Comunque lucchesi o no, i miei nonni avevano le palle. Uomini di mare, artigiani, grandi maestri. Insomma, loro avevano l'X-factor. E  misero su la "Veleria" proprio nel cuore della Darsena, sulla via Coppino davanti alla Pesa Pubblica e accanto al CRO.
Era un unico stanzone dal soffitto altissimo tutto di travi, le mura con le pietre a vista e il pavimento in legno, dove i fratelli Egisto e Duilio (mio nonno appunto) si dividevano spazio e lavoro.
Il nonno ebbe tre figli maschi: Alfredo, il più grande, che navigava sul  Colombo (di porto in porto, di mare in mar, passa il colombo nel navigar! così mi cantava sempre il pappà) ma è morto troppo giovane purtroppo; Emilio ha fatto il muratore e mio padre, il più piccolo, ha dovuto scegliere il lavoro in banca, anche se sono convinta che con il cuore e la mente era sempre a bottega.E lì trovava Sergio e Mario, i cugini, figli di Egisto, che invece hanno proseguito nel mestiere del padre. E l'hanno indovinata, perché la veleria era una vera miniera d'oro. A saperci fare naturalmente, e Sergio era veramente bravo nel tagliare le vele, mentre Mario era più portato per le tende.
Piuttosto chiuso, taciturno, era meno socievole del fratello Sergio che era invece un vulcano in eruzione, un eclettico, estroverso, folle personaggio indimenticabile. Era lui l'anima della veleria, ed è con lui che mio padre se la intendeva di più.
Due pazzi scatenati. Sergio, con quegli occhietti scuri, furbi e attenti come quelli di un furetto, non se ne perdeva una. Insieme avrebbero preso per il culo il mondo, e il vederli all'opera era un vero spasso.
A me piaceva da matti andare in veleria. C'erano, sul fondo dello stanzone, tantissime "pezzate" di stoffa dai colori sgargianti :blu,verde, arancio. Poi quella stoffa speciale, bianca, l'Eliolona, la chiamavano, che serviva per le vele delle barche da regata. Un bancone in legno ricoperto di rocchettoni di fili, metri sparsi qua e là, gessetti  per segnare la stoffa, forbicioni, poi scatole e scatolette piene di occhielli metallici di tutte le misure.
Sembrava un bazar. Appesi al muro cordami, cime, funi, e le foto di chi non c'era più compreso lo zio Alfredo.
Naturalmente una simile industria aveva bisogno di lavoranti e qui ce n'erano ben cinque, cinque donne ciarliere, tutte alla macchina da cucire.  Due, le più anziane, erano le loro sorelle, Alfreda e Raffaella, che in effetti un po' l'aria delle padrone l'avevano.
Capelli ricci , bianchi, occhialetti sul naso e quell'aria da zittelline furbette che a me, le rendeva anche simpatiche. Poi c'era Carmela, una bella moracchiotta, e altre due di cui non ricordo il nome.
Ricordo però di aver sentito tante volte parlare della prima, storica lavorante di bottega: la Selica. Ne parlavano sempre con affettuosa reverenza anche se poi la prendevano in giro, forse per le sue umili origini, dicendo che la sua passione era "l'arpa".Cosa ci azzeccasse poi l'arpa con la Selica  non l'ho mai saputo ne lo saprò mai, ma loro ci ridevano tanto quando lo dicevano.
Ecco, questo, assieme all'odore acre delle stoffe e della sciugna,ricordo con piacere: il simpatico cicaleccio che si faceva.
Quel posto era un vero porto di mare, vi approdavano elementi di tutti i tipi.
Io entravo, mi pascevo dei saluti affettuosi di tutti poi , mentre ognuno proseguiva il suo  lavoro, mi sdraiavo sopra le stoffe ammucchiate e ascoltavo.. ascoltavo..
Ogni tanto mio padre si ricordava di me e mi dava delle dritte sul mestiere. Mi insegnò anche tutti i nodi da marinaio rifilandomi pure qualche scappellotto sulla testa quando non  ne ricordavo la procedura: gruppo piano, scorsoio, parlato, gassa d'amante, e tanti altri che non ricordo più.
Poi interveniva Sergio che, agile come uno scoiattolo e rigorosamente scalzo, saltava da un lato all'altro della preziosissima tela stesa sul pavimento e mi spiegava con che criterio tagliarla,
Lui mi voleva molto bene. Avendo avuto due figli maschi, ero per lui la figlia femmina che tanto aveva desiderato, ed io lo ricambiavo con affetto e ammirazione. Perché, pur avendo a che fare anche con grandi nomi della velica venuti da tutta Italia a commissionargli le vele per le proprie prestigiose imbarcazioni, lui non se la tirava. Semplice ma non dimesso , umile ma fiero della propria maestria, dall' intelligenza pronta e dalla mente e corpo scattanti, non sopportava chi, al contrario di lui non aveva la "verve", chi non riusciva a stargli al passo.
Con mio padre se la intendeva più che con suo fratello, perché erano simili e nutrivano le stesse passioni: il mare e le regate. Il loro motto preferito era : se mi curi ti curo, se non mi curi ti vado in culo!
Ricordo con nostalgia quando, nel periodo di Carnevale, durante lo svolgersi del Rione Darsena, la veleria era aperta per amici e conoscenti.
La mamma e la Carla, moglie di Sergio, preparavano chili e chili di tordelli al sugo che sporzionavano  nel retro- bottega, mentre una damigiana di vino troneggiava in alto, su un seggiolone, con una "sughetta" immersa da cui si stillavano in continuazione bicchieri di vino.
Venivano i Benetti, i Cenami, i Giannotti, ricordo anche Delia Scala che si sdilinquiva in complimenti per la cucina di mia mamma, Egisto Malfatti e tanti altri della Viareggio bene. Poi i bomboloni dell'immancabile Zenzena e via, in balli e canti cui non si sottraeva nessuno. Davvero bei tempi.
Ora la veleria non c'è più.
I figli di Sergio non se la sono sentita di proseguire nel mestiere e sono diventati medici dentisti. Hanno lo studio proprio là dove sorgeva la veleria, loro al primo piano e sotto un anonimo negozio di oggettistica.
Neanche il CRO c'è più. Ma dalle finestre del loro studio ancora si domina la darsena.
E quando vedo dalla spiaggia una vela all'orizzonte, ricordo quelle atmosfere e spero, con orgoglio e nostalgia che ancora la gente si ricordi delle vele dei Puosi, quando le barche da regata lasciavano la banchina dietro al Club Nautico e si sentiva: "Orsa.. appuggia.. tira la sartia.. cazza la randa" .
E le seguivi con l'occhio fino a che il vento, ingravidata la vela, non se le portava via silenziose, al di la del molo... tra un fremito d'ali di gabbiani....

Un omaggio a mio padre che la sapeva a memoria.



                                           "Preghiera del Marinaio"

A Te, o grande Eterno Iddio, 
Signore del Cielo e dell'Abisso,
cui obbediscono i venti e le onde
Noi, 
Uomini di Mare  e di Guerra
Ufficiali e Marinai d'Italia,
da questa sacra nave
armata dalla Patria, 
leviamo i cuori.

Salva ed esalta nella Tua fede 
o grande Iddio, la nostra Nazione,
dà giusta gloria e potenza alla
nostra bandiera,

comanda che le tempeste
ed i flutti
servano a Lei.
Ispira al nemico il terrore di Lei 
fa che per sempre 
La cingano in difesa
petti di ferro 
più forti del ferro che cinge 
questa Nave.
A Lei per sempre 
dona Vittoria.

Benedici o Signore
le nostre case lontane,
le cari genti 
Benedici nella cadente notte
il riposo del Popolo.
Benedici noi 
che per esso
vegliamo in armi sul mare...
Benedici!! ,,, "

2 commenti:

  1. È sempre bello leggere delle proprie origini, grazie. Un bacio zia!

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  2. Stessi ricordi... quante giornate passate in quello stanzone fra una battuta e l'altra, e quanti occhielli ho consumato a martellate!!! gli occhielli e la morsa erano i miei attrezzi preferiti... Poi da più grande ci sono andato tante volte con la matassa dell'acciaio armonico per costruirmi i cavi per il lancio del martello. Proprio l'altra sera ho portato ai cugini Claudio ed Egisto, la copia delle frasi del pappà che ho raccolto e ogni tanto aggiorno, l'hanno letta con grande attenzione e simpatia, portagli anche questo, gli farà sicuramente piacere :)

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