martedì 20 marzo 2012

Primavera

" Marzo libera il sol di prigionia...", ma se anche non fosse, Primavera è tornata finalmente, e comunque si legge nell'aria, la si sente negli odori, in tutti quelli che la scelleratezza e l'incuria dell'uomo ancora non è riuscita a distruggere.
Basta poco : l'odore della "ragia" in pineta, del sego o della "sciugna" in darsena, e ti ritrovi indietro nel tempo, quando Viareggio era solo nostra e bastava una passeggiata vicino agli scogli limacciosi che ti sentivi una regina, libera e padrona del mondo.
Basterebbe tanto poco per stare bene, solo un po' di rispetto per ciò che ci circonda. Perchè l'uomo non si nutre di solo pane.
Vi prego, non toglieteci i colori !

E nel giorno dedicato alla poesia, io voglio dedicarne una a chi, anni fa, me ne dedicava una a settimana dai microfoni di Radio Massarosa. Non ti ho scordato caro amico, compagno di momenti utopicamente felici, piccolo elfo ricco di saggezza e sentimento. Mio platonico amore.
Grazie per aver sfiorato con la tua la mia vita; siamo indubbiamente persone migliori dopo esserci conosciuti.
E grazie per la ricchezza d'animo con cui hai nutrito la mia anima assetata. Le nostre strade si sono divise, ma io non ti dimenticherò mai come spero sia per te.
" Celami in te, dove cose preziose son celate, tra le radici delle rose e delle spezie!"
Questa la dedicasti a me, ed io te la rendo con tutto il cuore.....

Ciò ch'era perduto era celeste
e l'anima malata, santa.
Il nulla era un vento che cambiava inspiegabilmente dimensione,
ma ben consapevole, sempre, delle sue mete.
Nel nulla che si muoveva ispirato in alto,
capriccioso come un ruscello in basso
ciò che importava era sempre una storia
che in qualche modo era incominciata
e doveva continuare: la tua.
Chi mi aveva chiamato lì?
Ogni mattina ricominciava la tragedia dell'essere
dietro i balconi prima chiusi e poi aperti,
come in una chiesa
che il vento divino soffiasse inutilmente
o solo per dei testimoni.
Poi le abitudini, queste sorelle della tragedia.
Il mare e il suo vento ebbero tutti i nostri sviscerati elogi.
Il tuo "esse est percipi" incontrava tremendi ostacoli da superare
e ogni vittoria era una povera vittoria,
e dovevi ricominciare subito
come una pianta che ha continuamente bisogno d'acqua.
Io però Maria non sono un fratello,
adempio altre funzioni che non so, 
non quelle della fraternità,
almeno di quella complice,
così vicina all'obbedienza e all'eroica inconsapevolezza degli uomini,
tuoi fratelli malgrado tutto, non miei.
E tu, atterrita dal sospetto di non essere più,
sai anche questo,
e ti arrangi a farti da madre.
Concedi alla bambina di essere regina,
di aprire e chiudere le finestre come in un rito
rispettato da ospiti, servitù, spettatori lontani.
Eppure lei, lei, la bambina,
basta che per un solo istante sia trascurata,
si sente perduta per sempre!
Ah, non su isole immobili
ma sul terrore di non essere il vento scorre,
il vento divino che non guarisce,
anzi, ammala sempre più;
e tu cerchi di fermarla,
quella che non voleva tornare indietro.
Non c'è un giorno, un'ora, un istante
in cui lo sforzo disperato possa cessare.
Ti aggrappi a qualunque cosa
facendo venire voglia di baciarti.
                                                                         25 novembre 1994

Alla prossima. 

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